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mercoledì 18 gennaio 2012

GIÙ LE MANI DALL’ACQUA E DALLA DEMOCRAZIA: IL MIO VOTO VA RISPETTATO

Il Comitato locale Acqua e Beni Comuni di Chieti invita i 25.000 cittadini (24.873 per il primo quesito; 25.124 per il secondo: ben oltre la metà degli elettori del capoluogo) che hanno votato Sì ai due referendum sull’acqua a prendere coscienza del fatto che quella eccezionale vittoria democratica rischia di essere vanificata per effetto delle cosiddette liberalizzazioni programmate dal Governo Monti. Nel caso dell’acqua “liberalizzare” significa regalare ai privati un bene comune in regime di monopolio di fatto.

In Abruzzo la gestione dell’acqua è oggi affidata a una legge regionale, assurdamente varata alla vigilia del referendum, senza aspettarne l’esito, e comunque mal costruita. Sulla base di quella legge Chieti, insieme a diversi altri Comuni della sua provincia e ad alcuni Comuni del Teramano, non può esprimere il proprio voto sulla gestione e programmazione del Servizio Idrico Integrato. Nell’assemblea dei sindaci (ASSI) della Provincia di Chieti il Comune di Chieti non ha potuto votare il Piano d’Ambito che programma gli investimenti sino al 2027 perché la SpA a capitale pubblico che gestisce il servizio nel territorio teatino, la SASI, non fornisce acqua al capoluogo. Ma il Comune di Chieti non ha voto neppure nell’ASSI di Pescara, perché è in un’altra provincia, benché sia il gestore del pescarese, l’ACA, a rifornirla! Gestione e investimenti condizionati per quasi trent’anni con un capoluogo di provincia nonché città tra le più popolate d’Abruzzo impossibilitata a far pesare le proprie scelte: ci si aspetterebbe una fiera protesta e invece nelle più recenti assemblee SASI (a Santa Maria Imbaro per il Chietino e a Pescara) il Comune di Chieti ha brillato per la sua assenza.

Chieti in compenso ha una positiva gestione in proprio dell’acqua, visto che l’amministrazione municipale ha mantenuto la proprietà delle reti, dopo un infausto e per fortuna breve periodo di affidamento all’ACA. Nel Comune di Chieti l’acqua viene fatturata agli utenti secondo tre fasce di consumo: 0,27 €/mc sino a 6 metri cubi al mese, 0,41 tra 6 e 14 mc/m, 0,57 oltre i 14 mc/m ai quali va aggiunto un euro di quota fissa per ogni mese di fatturazione. Una tariffa nettamente inferiore a quella applicata dal carrozzone pubblico ACA: 1,35 €/mc che dovrebbe diventare 1,30 con l’applicazione del referendum, togliendo il 7% di remunerazione fissa per il capitale investito. La gestione dell’acqua a Chieti avviene in condizioni di sostanziale pareggio economico. Questo vuol dire che l’ACA è sovradimensionata o comunque che ha costi eccessivi a carico degli utenti, ma come pensa di rimediare la politica? Non già, come sarebbe logico nell’interesse dei cittadini, abolire le SpA di gestione dell’acqua, troppo costose, ma al contrario chiede a Chieti di adeguare le tariffe pareggiandole a quelle dell’ACA! Nei prossimi mesi, i cittadini facciano attenzione, potrebbe arrivare in Consiglio comunale una delibera che, su richiesta del commissario dell’ATO abruzzese, se approvata, triplicherebbe i costi per gli utenti. Una delibera che invitiamo sin d’ora tutti i consiglieri comunali a bocciare senza mezzi termini, nel nome di una gestione corretta e senza sprechi dell’acqua e nell’interesse di tutti i cittadini.

Ultima questione, ma non certo per importanza: il 1 luglio 2010 il WWF, che è membro attivo del nostro Comitato, ha consegnato al Sindaco e al Presidente del Consiglio Comunale una petizione, firmata da 1.134 cittadini di Chieti, con la quale si chiedeva di inserire nello Statuto Comunale il principio del “diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto umano universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico”. Veniva chiesto inoltre il riconoscimento, nello Statuto, del servizio idrico integrato come un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, “in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, la cui gestione va quindi attuata attraverso un Ente di diritto pubblico”. Lo stesso Statuto (art. 63 comma 2) prevede che ci sia un pronunciamento entro 2 mesi dalla consegna di una petizione popolare, ma di mesi ne sono passati già più di 18 senza che quella richiesta sia mai stata portata all’esame del Consiglio comunale, a dispetto dei ripetuti solleciti del WWF.

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